
di MICHELA VITTORIA BRAMBILLA*
CI sono molti modi per cercare di farsi male da soli ma devo dire che il nostro Paese riesce talvolta a farlo meglio di chiunque altro. Mi riferisco alla vicenda dell’aeroporto di Ciampino che, per comprensibili motivi di carattere acustico ed ambientale, dovrà essere costretto a ridurre, in modo congruo, la propria attività o addirittura a darsi un definitivo stop. E che male c’è? dirà il lettore: chiuso un aeroporto, se ne può sempre fare un altro che soddisfi tutte le esigenze anche quelle dei cittadini che giustamente non vogliono essere ammorbati dai jet. E così avrebbe dovuto essere se e sono ormai parecchi anni che si parla di questo problema gli addetti ai lavori avessero provveduto per tempo a studiare un’alternativa che rispondesse alle stesse esigenze che sono quelle di un secondo scalo romano che potesse assorbire quella quota di traffico, in prevalenza voli low cost che, per motivi strutturali che oggi non sono stati risolti e che chissà quando e come potranno esserlo, l’aeroporto internazionale di Fiumicino non avrebbe potuto accogliere. Poi, ecco che gli addetti ai lavori si sono visti costretti a cercare su due piedi una soluzione visto che il flusso dei low cost è così in tutto il mondo stava aumentando in misura esponenziale. E l’unica a portata di mano, considerato che non si era programmato niente, era quella di trasferire l’aeroporto di Ciampino addirittura a Viterbo, 80 chilometri a Nord della capitale, che già aveva spianato un po’ di piste e messo insieme qualche hangar e una torre di controllo. E qui viene il bello perché gli addetti ai lavori, quelli veri che devono pensare non solo a far volare i passeggeri a basso costo ma anche a portarli a destinazione il più in fretta possibile, fanno un sopraluogo e scoprono che la linea ferroviaria Viterbo-Roma è ancora a scartamento ridotto e che i tempi di percorrenza, per via stradale, sono tripli, sempre che non vi siano ingorghi, rispetto a quelli da Ciampino verso Roma. Fine della storia: Ryanair, una delle maggiori compagnie low cost, prende cappello e minaccia di andarsene altrove.
Lungi da me l’idea di prendere le difese di questa compagnia o di altre che, poste di fronte a questo aut aut, potrebbero comportarsi allo stesso modo. Come è anche chiaro che, con il prezzo del petrolio che si gonfia ogni giorno, anche questi vettori, costretti a rifare i conti all’osso, possono usare questa circostanza come pretesto per trasferirsi altrove, magari in Turchia e in Tunisia oppure a Parigi dove ci sono molti scali e collegamenti assai veloci. Il problema però riguarda anche noi perché se questa diventasse davvero la strategia di questi vettori, il nostro mercato rischierebbe di perdere, da qui a pochi anni, una buona fetta di turisti, specie quelli che, provenendo da Paesi molto lontani, non fanno molta differenza fra la cupola di San Pietro e la Tour Eiffel. Questo per dire che è arrivato il momento di rimettere i piedi per terra e di cercare finalmente di programmare e di mettere a sistema un’offerta turistica scali, reti di trasporto, servizi, etc che risponda alle esigenze di un mercato che, rispetto a dieci anni fa, è completamente cambiato. E mi pare che una soluzione come quella, ad esempio, di Viterbo non possieda affatto questi requisiti. Senza offesa per la bellissima città e i suoi cittadini, ovviamente. A meno che gli amministratori viterbesi, insieme alle ferrovie dello Stato e con chi si occupa di raccordi stradali, non facciano un miracolo. Ma si può fare politica turistica basandosi solo su ipotesi?
*Sottosegretario al Turismo
CI sono molti modi per cercare di farsi male da soli ma devo dire che il nostro Paese riesce talvolta a farlo meglio di chiunque altro. Mi riferisco alla vicenda dell’aeroporto di Ciampino che, per comprensibili motivi di carattere acustico ed ambientale, dovrà essere costretto a ridurre, in modo congruo, la propria attività o addirittura a darsi un definitivo stop. E che male c’è? dirà il lettore: chiuso un aeroporto, se ne può sempre fare un altro che soddisfi tutte le esigenze anche quelle dei cittadini che giustamente non vogliono essere ammorbati dai jet. E così avrebbe dovuto essere se e sono ormai parecchi anni che si parla di questo problema gli addetti ai lavori avessero provveduto per tempo a studiare un’alternativa che rispondesse alle stesse esigenze che sono quelle di un secondo scalo romano che potesse assorbire quella quota di traffico, in prevalenza voli low cost che, per motivi strutturali che oggi non sono stati risolti e che chissà quando e come potranno esserlo, l’aeroporto internazionale di Fiumicino non avrebbe potuto accogliere. Poi, ecco che gli addetti ai lavori si sono visti costretti a cercare su due piedi una soluzione visto che il flusso dei low cost è così in tutto il mondo stava aumentando in misura esponenziale. E l’unica a portata di mano, considerato che non si era programmato niente, era quella di trasferire l’aeroporto di Ciampino addirittura a Viterbo, 80 chilometri a Nord della capitale, che già aveva spianato un po’ di piste e messo insieme qualche hangar e una torre di controllo. E qui viene il bello perché gli addetti ai lavori, quelli veri che devono pensare non solo a far volare i passeggeri a basso costo ma anche a portarli a destinazione il più in fretta possibile, fanno un sopraluogo e scoprono che la linea ferroviaria Viterbo-Roma è ancora a scartamento ridotto e che i tempi di percorrenza, per via stradale, sono tripli, sempre che non vi siano ingorghi, rispetto a quelli da Ciampino verso Roma. Fine della storia: Ryanair, una delle maggiori compagnie low cost, prende cappello e minaccia di andarsene altrove.
Lungi da me l’idea di prendere le difese di questa compagnia o di altre che, poste di fronte a questo aut aut, potrebbero comportarsi allo stesso modo. Come è anche chiaro che, con il prezzo del petrolio che si gonfia ogni giorno, anche questi vettori, costretti a rifare i conti all’osso, possono usare questa circostanza come pretesto per trasferirsi altrove, magari in Turchia e in Tunisia oppure a Parigi dove ci sono molti scali e collegamenti assai veloci. Il problema però riguarda anche noi perché se questa diventasse davvero la strategia di questi vettori, il nostro mercato rischierebbe di perdere, da qui a pochi anni, una buona fetta di turisti, specie quelli che, provenendo da Paesi molto lontani, non fanno molta differenza fra la cupola di San Pietro e la Tour Eiffel. Questo per dire che è arrivato il momento di rimettere i piedi per terra e di cercare finalmente di programmare e di mettere a sistema un’offerta turistica scali, reti di trasporto, servizi, etc che risponda alle esigenze di un mercato che, rispetto a dieci anni fa, è completamente cambiato. E mi pare che una soluzione come quella, ad esempio, di Viterbo non possieda affatto questi requisiti. Senza offesa per la bellissima città e i suoi cittadini, ovviamente. A meno che gli amministratori viterbesi, insieme alle ferrovie dello Stato e con chi si occupa di raccordi stradali, non facciano un miracolo. Ma si può fare politica turistica basandosi solo su ipotesi?
*Sottosegretario al Turismo
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